Diciamo che con la possibilità di andare in pensione a 70 anni per tutti i dipendenti pubblici, il problema si sposta in avanti. Mi riferisco alla legge di bilancio 2025 (art. 1, comma 165, L. 207/2024) con la quale si introduce la possibilità per le pubbliche amministrazioni di trattenere in servizio il personale, sia dirigenziale che non, fino al compimento del settantesimo anno di età; misura attivabile con 2 requisiti: limitata al 10% delle facoltà assunzionali disponibili e riservata esclusivamente a quei dipendenti che abbiano conseguito valutazioni di performance eccellenti.

E, mi chiedo, a quale giovane dirigente verrebbe in mente di affidare un incarico ad un soggetto privato che collabora con un ultrasettantenne proveniente dalla vecchia guardia del suo ente? Deve trattarsi davvero di una figura singolare, quanto meno speciale ed insostituibile, di sicuro eccellente... Se pensiamo che la IA andrà sostituendo molti dei compiti di ufficio, riesco a mala pena ad immaginare un funzionario pienamente soddisfatto del suo lavoro, se pur in odore di eccellenza, all'età di 60 anni, figuriamoci a 70. Beh, sono solo riflessioni, solo riflessioni.

Sembra che ANAC e il Governo non siano perfettamente allineati: proprio mentre ANAC si gioca la carta del Regolamento per limitare e prevenire i casi di pantouflage, il Governo sposta il avanti l'età pensionabile: da una parte, consolidando il potere di chi lavora nella PA con ruoli significativi (affermando in tal caso l'efficacia del Regolamento) dall'altra rendendo meno appetibile il ricorso a dipendenti anziani da parte dei soggetti privati che lavorano con la PA (con scarso uso del Regolamento), per non parlare della fortunata ipotesi in cui il pensionato non veda l'ora di stare con la sua famiglia e dedicarsi al tempo libero, anzichè piegare le sue stanche ginocchia per entrare dalla finestra, che poi potrebbe essere anche al secondo piano (con scarsissimo uso del Regolamento).

Affrontando la questione con una certa neutralità, cerchiamo di sintetizzare i meccanismi del nuovo procedimento, rifacendosi letteralmente alle leggi che governano la fattispecie.

Come ben sappiamo, i colleghi che sono in pensione e che prima hanno rivestito ruoli di "comando", non possono lavorare o collaborare con soggetti privati a cui la PA affida incarichi o servizi/lavori; il tutto vale per 3 anni dalla pensione (cd periodo di raffreddamento). Norma su cui Anac ha impostato il proprio Regolamento: provvedimento che sarebbe utile applicare in sede locale, attraverso recepimento e adattamento alle specificità dell'Ente da parte del RPCT. Penso ad una delibera di giunta comunale o ad un decreto deliberativo provinciale ad hoc, oppure all'integrazione al Codice di Comportamento attuale.

Il D.vo 165/2001, n. 165, all'art. 53, comma 16-ter recita: "I dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, non possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell’attività della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri. I contratti conclusi e gli incarichi conferiti in violazione di quanto previsto dal presente comma sono nulli ed è fatto divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni con obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi riferiti". Il divieto è molto chiaro. Ma come si concretizzano le misure di prevenzione dettagliate nelle Linee Guida di ANAC ?

Parole chiave contenute nella premessa delle Linee Guida: ipotesi di incompatibilità, ovvero il divieto di cumulo di più incarichi, a cui si affianca l'ipotesi di inconferibilità, ossia il divieto di accesso ad un incarico (divieti previsti dal DLvo 39/2013). Divieti che impediscono il sorgere del conflitto di interessi nello svolgimento di incarichi attribuiti a un dipendente pubblico al fine di salvaguardare l’imparzialità dell’azione amministrativa. E, dato che mi sto rivolgendo a dipendenti della PA, sappiamo tutti di cosa stiamo parlando. Infine, vengono riconosciuti ad Anac poteri di vigilanza e sanzionatori (Consiglio di Stato, Sezione V, n. 7411 del 29 ottobre 2019 e Corte di Cassazione): Anac individua i responsabili del procedimento, ovvero dell'accertamento e dell' irrogazione della sanzione, anche se ancora non è chiaro chi la commini, se l'Ente o Anac (aspettiamo un ulteriore passo regolamentare o legislativo).

I soggetti a cui applicare il Regolamento sono una bella platea, dipendenti pubblici in senso ampio: quindi anche incarichi amministrativi di vertice, dirigenti esterni, incarichi in enti pubblici economici e di diritto privato in controllo pubblico, sempre che abbiano esercitino poteri autoritativi e/o negoziali nei confronti di soggetti privati presso cui sono poi chiamati a svolgere un incarico/prestare servizio; è previsto anche l'esercizio di poteri autoritativi e/o negoziali in maniera occasionale, una tantum (qui il consolidarsi della posizione di potere diventa però davvero marginale). Anche gli enti privati sono una bella platea, comprendendo associazioni, fondazioni, federazioni con natura privatistica, imprese e studi di professionisti abilitati, come ad esempio studi legali, studi di ingegneria e architettura verso cui il dipendente potrebbe aver esercitato quei poteri autoritativi e negoziali che sono il presupposto per l’applicazione del divieto. Resta fuori dal divieto la società in house, in quanto lunga mano della PA di appartenenza, alleata nel perseguire lo stesso interesse pubblico.

La parte prima delle Linee Guida, alla sezione 4 elenca vari casi di potere autoritativo e negoziale, in modo molto chiaro direi.

Quindi scendiamo nel procedimento amministrativo individuato da Anac. Vale a dire, chi e cosa dobbiamo fare.

L'art. 2 del Regolamento individua il responsabile del procedimento nel Dirigente dell'Ufficio, che può delegare la fase istruttoria, assumendo quindi il 50% della responsabilità.

L'art. 8 del Regolamento disciplina la modalità di comunicazione ad Anac, tramite il sito web ed apposita modulistica. Qui però mi viene un dubbio riguardo a chi debba fare la segnalazione, perchè l'art 8 parla di RPCT o di RUP. In assenza di chiarimento, oppure in caso di figure non coincidenti con il responsabile del procedimento, vale l'invito a regolamentare all'interno dell'Ente il diagramma di flusso, attribuendo ruoli e responsabilità nelle varie fasi del procedimento.

L'art. 15 norma l'avvio del procedimento, nel caso in cui la segnalazione non abbia subito l'archiviazione da parte di Anac. Si parla di controdeduzioni e audizioni, non escludendo le ispezioni da parte di Anac, in caso ci fosse l'esigenza di maggiori accertamenti.

L'art. 21 è dedicato alla conclusione del procedimento con Delibera di Anac. Per la comminazione della sanzione, sarei più tranquilla se ci fosse un successivo chiarimento.

Non resta che studiarci il Regolamento, recepirlo, individuare ruoli e responsabilità, pubblicare il tutto nella sezione Amministrazione Trasparente, supportando il RPCT in questa delicata previsione. Sarebbe una corretta partenza.